Livio Felluga
Livio FellugaBiography
Fratello di Livio, Marco Felluga appartiene alla stessa dinastia di viticoltori. Cresciuto a Grado e formatosi alla scuola enologica di Conegliano, era inevitabile che si innamorasse del vicino Collio, dove la magia del paesaggio si sposa a un clima e a un terreno ad altissima vocazione viticola. Dalla laguna si trasferì perciò in collina, a Gradisca d’Isonzo, dove fondò la sua cantina.
L’equilibrio con cui é riuscito a utilizzare innovazioni e tecnologie avanzate per meglio salvaguardare la tradizione, hanno fatto della sua azienda un punto di riferimento per tutto il territorio. Non a caso il Consorzio del Collio si é affidato alla sua guida anche in un recente passato. Oggi, a proseguire sulla strada della qualità assoluta da lui tracciata é il figlio Roberto, che rappresenta la quinta generazione. 120 ettari in proprietà, una produzione di 600mila bottiglie, due grandi vini al vertice della gamma, il rosso Carantan e il bianco Molamatta fanno della Marco Felluga un’azienda di tutto rispetto, che però é solo la capofila di un gruppo di cui fan parte altre tre tenute. La più importante é Russiz Superiore, 96 ettari, di cui 70 a vigneto, carichi di storia (i proprietari, nel 1200, erano i principi Torre e Tasso).
Acquistati nel 1966 a Capriva del Friuli, se ne ricavano 200mila bottiglie, tra le quali emergono un bianco, il Col Disore, e un rosso, la Riserva degli Orzoni.
E’ invece un’acquisizione del 1994 il Castello di Buttrio, dotato di un ricco patrimonio di vitigni autoctoni ricavati dai vecchi vigneti dell’azienda. Due i vini: un bianco, il Castello di Buttrio-Ovestein, e un rosso, il Castello di Buttrio-Marburg. L’ultima proprietà entrata a far parte del gruppo Marco Felluga é di 50 ettari (25 a vigneto) a San Casciano Val di Pesa, nelle terre del Chianti Classico: é San Nicolò a Pisignano, da cui si trae un cru a base di sangiovese, il Sorripa.
Lungarotti
LungarottiBiography
La Cantina Lungarotti é nata nel 1962 a Torgiano, in Umbria, a pochi chilometri da Perugia e Assisi, e da quel momento é diventata il punto di riferimento enologico più importante per l’Umbria intera. Giorgio Lungarotti, che l’aveva fondata per vinificare le uve provenienti dalle varie aziende agricole possedute della famiglia, é stato definito “l’uomo che più e meglio ha fatto conoscere l’Umbria nel mondo dopo San Francesco”. E sua moglie Maria Grazia lo ricorda come “un pioniere”. Troppa enfasi? Può darsi, però Giorgio Lungarotti, scomparso nel 1999, é stato davvero colui che per primo ha creato vini di pregio in una regione fino allora priva di benemerenze enologiche, e li ha fatti conoscere in tutti i continenti esportandovi metà della produzione, che oggi é arrivata a 2,9 milioni di bottiglie. E fino agli ultimi suoi giorni, a 88 anni suonati, quando si parlava di vino, su questo tema era ancora capace di vedere più lontano degli altri. Da allora, la gestione é passata nelle mani di sua figlia Chiara Lungarotti: l’aiuta la sorella Teresa Severini, mentre la mamma, Maria Grazia, dirige i lavori della Fondazione Lungarotti, benemerita per la diffusione della cultura del vino. L’azienda Lungarotti ha infatti creato a Torgiano uno dei più importanti musei su questo tema, raccogliendo una documentazione storica e artistica che non ha eguali. La forte impronta familiare che continua ad avere l’azienda é basata sul rispetto dei valori che uniscono tradizioni, storia e territorio, ma anche sulla capacità di sperimentare modelli di sviluppo innovativi. La Lungarotti sta realizzando infatti, in collaborazione con l’Università di Perugia, il primo progetto italiano per produrre energia elettrica con i sarmenti potati nei vigneti, ed é una soluzione che nelle aziende di grandi dimensioni può portare addirittura all’autosufficienza energetica. Proiettata nel futuro, la maggior casa vinicola umbra non dimentica però il proprio presente produttivo e qualche anno fa ha acquistato vigneti e costruito una cantina a Montefalco riuscendo così a inserire il Sagrantino nella vasta gamma dei suoi prodotti. I vini Lungarotti di maggior prestigio restano però i rossi di maturazione insolitamente lunga (compaiono sul mercato quattro o cinque anni dopo la vendemmia) ricavati a due cru: il Rubesco Vigna Monticchio Riserva, a base di sangiovese e canaiolo, e il San Giorgio, in cui le due uve autoctone sono miscelate al cabernet sauvignon. Quest’ultimo é stato il primo SuperUmbrian della regione: nato con la vendemmia 1977, viene prodotto esclusivamente nelle grandi annate.
Maculan
MaculanBiography
Maculan é una famiglia che da tre generazioni vinifica e selezionale migliori uve di Breganze, incantevole paese di collina, in provincia di Vicenza incastonato in uno degli angoli più belli del Veneto contrassegnato dall’architettura delle ville Palladiane.
La protezione naturale offerta dall’Altopiano di Asiago determina un clima estremamente mite, che favorisce da sempre la coltivazione della vite.
Maculan ha una propria azienda agricola con 11 ettari di vigneto di proprietà nel comune di Breganze, e conduce in affitto 24 ettari nella circostante zona della Doc. Inoltre opera con viticoltori selezionati che conferiscono le uve di altri 50 ettari complessivi.
La cantina si trova nel centro storico di Breganze ed é uno dei migliori esempi di un riuscitissimo matrimonio fra l’antica tradizione e la più innovativa tecnica enologica. Oggi se Maculan é uno dei nomi del vino italiani più prestigiosi e conosciuti al mondo, lo si deve a Fausto Maculan, enologo di lungo corso, che molti anni or sono ha avuto il coraggio di produrre vini tradizionali in maniera nuova e creare nuovi vini di altissimi pregio. Maculan ha reinventato il tradizionale Torcolato di Breganze, ottenuto dalle uve vespolina lungamente passito (si chiama così perchè le uve vengono attorcigliate intorno a un filo), con tecniche di vinificazione moderne, e soprattutto con un lungo affinamento in barrique. Il risultato é un vino dolce e suadente. Ma é ancor più stupefacente il risultato ottenuto con l’Acini Nobili, che nasce da uve appassite ma che sono state ricoperte dalla muffa nobile, un agente che provoca una particolare trasformazione alle uve. Un vino magnifico: suadente, con profumi di frutta, di confettura, di miele. Dal podere Ferrata viene il vino omonimo, un bianco a base di sauvignon e chardonnay, intenso e aromatico. Un vino che sa porsi all’altezza dei migliori Sauternes francesi. Ma Maculan sa esprimere il suo grande talento anche sui vini rossi. Ne sono una dimostrazione il Fratta e il Palazzotto, che sono universalmente riconosciuti come due emblemi dell’enologia veneta. Il primo é un taglio bordolese con un’aggiunta dell’indigena croatina, un vino di rara eleganza, finezza e persistenza. Il secondo invece é un cabernet sauvignon in purezza, un vino tutto d’un pezzo, compatto e complesso.
Marchesi de’ Frescobaldi
Marchesi de’ FrescobaldiBiography
Il nome Frescobaldi ha una tradizione nel mondo del vino che risale a oltre 700 anni fa e che da allora ha impegnato 30 generazioni. A questa tradizione, negli anni 60 del secolo scorso, Vittorio Frescobaldi, titolare delle proprietà di famiglia insieme ai fratelli Dino, Maria, Ferdinando e Leonardo, ha dato una moderna organizzazione creando un’azienda vitivinicola con sede a Firenze, nove proprietà in Toscana e una in Friuli. Si tratta di oltre 890 ettari di vigneto, impiantati in condizioni pedoclimatiche molto diverse, da cui si ricavano ogni anno 7 milioni di bottiglie di elevata qualità. Difficile far percepire una realtà così variegata a clienti, estimatori e giornalisti. I Frescobaldi ci sono riusciti esponendo in un salone gli elementi caratteristici delle loro tenute più importanti, e proponendo ai visitatori un viaggio virtuale attraverso le loro biodiversità, usando tutt’e cinque i sensi: l’olfatto e il gusto, in primo luogo, degustandone il vino più significativo, abbinato a specialità gastronomiche della zona, e identificandone uno a uno i profumi nelle essenze che l’enologo della tenuta metteva a disposizione. Era un gioco in cui veniva coinvolta anche la vista, il tatto e perfino l’udito, con l’ascolto di pezzi musicali appositamente scelti. Un modo originale per conoscere le antiche proprietà Frescobaldi, il Castello di Pomino, la tenuta di Castiglioni, il Castello di Nipozzano, ma anche quelle più recenti, Castelgiocondo, Montalcino, Santa Maria, nella Maremma grossetana, Luce della Vite, nata come joint-venture con i Mondavi di Napa Valley e poi acquisita al completo, e infine la tenuta Attems nel Collio goriziano. E’ dai cru di Nipozzano che provengono il Montesodi e il Mormoreto, da quelli di Castelgiocondo il Lamaione: i SuperTuscan che hanno dato più soddisfazioni ai Frescobaldi. A curarne la produzione é oggi un enologo di famiglia, Lamberto Frescobaldi, e con lui altri tre rappresentanti dell’ultima generazione già operano in azienda: Tiziana e Diana Frescobaldi e Stefano Benini.
Marchesi di Grésy – Azienda Agricola Martinenga
Marchesi di Grésy – Azienda Agricola MartinengaBiography
Martiningen, cioé “luogo sacro al dio Marte” é il nome dato dagli antichi Liguri all’area boscosa sottostante l’altura su cui questi avevano trovato rifugio (lat. asylum) dalle legioni romane che, conquistata la vicina città di Alba, si accingevano a prendere il controllo dei suoi immediati dintorni. Dopo oltre duemila anni la toponomastica dei luoghi é ancora legata a quei remoti eventi: Asili e Martinenga sono oggi, infatti, tra i più celebri vigneti di Barbaresco, l’antica barbarica sylva. Sul cru Martinenga e sugli altri splendidi vigneti compresi nella Tenuta omonima, i Marchesi di Gresy hanno fondato la loro fama di produttori d’eccellenza.
Dal 1973 Alberto di Gresy ha iniziato a vinificare in proprio le uve nebbiolo degli 11 ettari coltivati nella Tenuta, ottenendone vini considerati tra i migliori di tutta la denominazione Barbaresco. I tre cru di nebbiolo Martinenga, Gaiun e Camp Gros si fanno portatori, con invidiabile costanza anche nelle annate più difficili, di tutta l’eleganza che questo meraviglioso terroir può esprimere.
La filosofia della Marchesi di Gresy é fondata su attente e scrupolose lavorazioni in vigna, al fine di ottenere uve di altissima qualità, quindi su scelte enologiche che coniughino al meglio tradizione e ricerca. I risultati sono di assoluta eccellenza, sia con i classici vitigni di langa, sia con l’intelligente proposta di vini da uve internazionali quali chardonnay, sauvignon e merlot. é tuttavia il Barbaresco Camp Gros a riassumere in sè compiutamente il carattere dei grandi vini piemontesi: prodotto a partire dal 1978 solo nelle migliori annate, é una selezione ottenuta da una piccola parte del vigneto Martinenga, quella che sale verso Rabajà. Una “summa” dell’enologia langarola in cui i fattori biologici, ambientali e umani concorrono a regalare straordinarie doti di complessità e armonia, conferendo al vino immense capacità di evoluzione.
Accanto alla Tenuta Martinenga, Marchesi di Gresy può contare su la Tenuta Monte Aribaldo, che comprende vigneti a dolcetto, chardonnay e sauvignon situati in comune di Treiso, e sulle proprietà di La Serra e Monte Colombo, dove invece trionfano moscato, barbera e merlot.
Marco Felluga
Marco FellugaBiography
Fratello di Livio, Marco Felluga appartiene alla stessa dinastia di viticoltori. Cresciuto a Grado e formatosi alla scuola enologica di Conegliano, era inevitabile che si innamorasse del vicino Collio, dove la magia del paesaggio si sposa a un clima e a un terreno ad altissima vocazione viticola. Dalla laguna si trasferì perciò in collina, a Gradisca d’Isonzo, dove fondò la sua cantina.
L’equilibrio con cui é riuscito a utilizzare innovazioni e tecnologie avanzate per meglio salvaguardare la tradizione, hanno fatto della sua azienda un punto di riferimento per tutto il territorio. Non a caso il Consorzio del Collio si é affidato alla sua guida anche in un recente passato. Oggi, a proseguire sulla strada della qualità assoluta da lui tracciata é il figlio Roberto, che rappresenta la quinta generazione. 120 ettari in proprietà, una produzione di 600mila bottiglie, due grandi vini al vertice della gamma, il rosso Carantan e il bianco Molamatta fanno della Marco Felluga un’azienda di tutto rispetto, che però é solo la capofila di un gruppo di cui fan parte altre tre tenute. La più importante é Russiz Superiore, 96 ettari, di cui 70 a vigneto, carichi di storia (i proprietari, nel 1200, erano i principi Torre e Tasso).
Acquistati nel 1966 a Capriva del Friuli, se ne ricavano 200mila bottiglie, tra le quali emergono un bianco, il Col Disore, e un rosso, la Riserva degli Orzoni.
E’ invece un’acquisizione del 1994 il Castello di Buttrio, dotato di un ricco patrimonio di vitigni autoctoni ricavati dai vecchi vigneti dell’azienda. Due i vini: un bianco, il Castello di Buttrio-Ovestein, e un rosso, il Castello di Buttrio-Marburg. L’ultima proprietà entrata a far parte del gruppo Marco Felluga é di 50 ettari (25 a vigneto) a San Casciano Val di Pesa, nelle terre del Chianti Classico: é San Nicolò a Pisignano, da cui si trae un cru a base di sangiovese, il Sorripa.
Michele Chiarlo
Michele ChiarloBiography
Con una graduale ma irresistibile ascesa, Michele Chiarlo, enotecnico figlio di viticoltori da cinque generazioni, é oggi alla testa di un’azienda conosciuta in tutto il mondo che produce ogni anno 1 milione di bottiglie. Di pregio. Inizio modestissimo nel 1956: una piccola cantina a Calamandrana, nell’Astigiano, per commercializzare Barbera e Moscato. La cantina si chiamava Duca d’Asti. “Il vino, allora, era un prodotto povero”, ironizza Chiarlo; “si cercava di nobilitarlo almeno con il nome”. Due anni dopo, però, la piccola impresa era già in grado di provvedere all’invecchiamento dei Barbera generosi della zona. Fu proprio un Barbera della vendemmia 1958, anzi, conservatosi a lungo quanto un Bordeaux, a permettergli molti anni dopo di farsi conoscere negli Stati Uniti sorprendendo tutti a una degustazione. Per assicurarsi la qualità della materia prima, appena ha potuto, Chiarlo ha cominciato ad acquisire vigneti. Oggi possiede 60 ettari e ne gestisce in conduzione altri 50. Produce i vini piemontesi più importanti e per vinificarli nelle rispettive zone di produzione ha attrezzato tre cantine: una a Calamandrana, suo quartier generale, un’altra a Gavi e una terza a Barolo. A produrre Barolo, Chiarlo ha cominciato nel 1982 comprando le uve, poi coltivando vigneti in affitto e infine acquistandoli. Nell’89 é così diventato proprietario di 6 ettari a La Morra, nel cru di Cerequio, mentre l’anno dopo ha comprato un ettaro e mezzo nel più storico dei cru del comune di Barolo, Cannubi. L’appezzamento, troppo scosceso per i trattori, aveva già provveduto a sistemarlo in maniera inedita per le Langhe, senza alterare il profilo della collina, ogni filare impiantato su un minuscolo terrazzamento che segue la curva di livello. “Così le viti non si fanno ombra l’una con l’altra”, spiega, “e le uve maturano perfettamente. Ma quando avevo affrontato l’impresa non ero certo che quel terreno sarebbe diventato mio…”. I Barolo si sono aggiunti, al vertice della sua gamma, al Barbera di maggior impegno, La Court. Nel cru dal quale lo ricava, per dare impulso alla valorizzazione del territorio, Chiarlo ha realizzato un innovativo parco artistico. Ma la sua più grande soddisfazione é che a portare avanti l’opera da lui iniziata saranno i figli. Stefano, che ha studiato enologia, é responsabile dei vigneti ed enologo dell’azienda insieme a Gianni Meleni, mentre Alberto, studi di marketing alle spalle, si occupa del settore commerciale. Con loro, la sesta generazione é già in pista.
Pio Cesare
Pio CesareBiography
Nelle cantine che Cesare Pio creò nel 1881 ad Alba, il tempo sembra essersi fermato. Anche se le ha ristrutturate per valorizzarne l’importanza storica e architettonica, é sempre in quelle cantine, le uniche rimaste nel centro storico di Alba, che la famiglia del fondatore vinifica da cinque generazioni le uve delle Langhe. In realtà, il tempo non s’é affatto fermato: anzi, l’attuale proprietario, Pio Boffa, non ha esitato a cambiare ciò che riteneva superato, anche se l’aveva ereditato dal fondatore, suo trisnonno per via materna. Cesare Pio non possedeva vigne: vinificava uve comprate da terzi e ne affinava i vini. Entrando in azienda 35 anni fa, Pio Boffa si rese conto ch’era diventato indispensabile possedere e coltivare direttamente i vigneti: i giovani vignaioli stavano abbandonando le colline delle Langhe, attratti dal mito della fabbrica e dal miraggio della città. Ebbe perciò un ruolo decisivo nel convincere suo padre ad acquisire la tenuta Bricco a Treiso, nella zona del Barbaresco, e la cascina Ornato a Serralunga d’Alba, in quella del Barolo. Acquistate rispettivamente nel 1974 e nel 1979 da ex conferenti, sono due autentici cru. Da allora, Pio Boffa ha attuato in azienda una rivoluzione permanente, ma di velluto. La decisione più traumatica l’ha presa alla vendemmia 1985, quando ha vinificato in selezione le migliori uve del vigneto di Serralunga d’Alba. Per più di un secolo la Pio Cesare aveva assemblato per il suo Barolo le uve di diversi vigneti, in modo da cogliere qui il corpo, là i profumi, laggiù il colore: quella era la prima volta che con quel marchio centenario faceva la sua comparsa non un Barolo ma il Barolo Ornato, il Barolo di un cru. Qualche preoccupazione di suscitare la reazione della clientela Pio Boffa non nega d’averla avuta, ma l’Ornato é stato uno dei più grandi successi dell’azienda. Cosicchè, con le uve di un’altra grandissima vendemmia, quella del 1990, ha fatto il suo debutto anche il Bricco, un cru di Barbaresco, ricavato dalla tenuta di Treiso.
Planeta
PlanetaBiography
Da diverse generazioni la famiglia Planeta si é impegnata con passione in diverse attività agricole nella provincia di Agrigento, anticipando gli importanti sviluppi dell’agricoltura isolana. Dal 1995, anno della prima vendemmia nella Cantina dell’Ulmo, l’Azienda Planeta ha continuato a espandersi in altre aree della Sicilia, alla ricerca di territori con caratteristiche pedoclimatiche differenti che permettessero la produzione di vini con stili e caratteri peculiari. Per ottenere questo ambizioso risultato, si é impegnata a fondo sul fronte della valorizzazione delle varietà autoctone, dell’impianto e dell’adattamento dei migliori vitigni internazionali, e del recupero delle zone viticole più affascinanti e antiche della Sicilia. La realizzazione dei progetti Planeta si sviluppa oggi in quattro territori: Sambuca di Sicilia e Menfi nell’Agrigentino, Noto in provincia di Siracusa e Vittoria vicino a Ragusa, abbracciando così aree assai differenti dal punto di vista della tradizione enologica, ma ugualmente espressive, nelle peculiarità di ciascuna, di altissimi valori qualitativi. La nuova azienda di Casa Planeta si trova invece sul versante nord/nord-est dell’Etna, su terre laviche, in contrada Santo Spirito a 870 metri slm.
La gamma dei Cru aziendali spazia da etichette espressive della tradizione vitivinicola siciliana, come il Santa Cecilia, Nero d’Avola dell’area di Noto, a vini ottenuti da vitigni internazionali come il Burdese, assemblaggio di cabernet sauvignon e cabernt franc, lo chardonnay, o ancora il merlot, tutti particolarmente apprezzati dalle guide di settore e dai consumatori.
Specialmente gli ultimi due hanno riscosso un successo che non é esagerazione definire planetario: lo Chardonnay può senza dubbio essere considerato un vino cult non solamente in Italia, ma anche all’estero; la ragione di tanto clamore risiede nella sua straordinaria piacevolezza, che già si manifesta nel colore giallo dorato con riflessi tendenti al verde, e si conferma al naso e in bocca laddove domina un assoluto equilibrio tra acidità, opulenza e mineralità.
Il Merlot é invece un rosso che si caratterizza olfattivamente per i suoi raffinati sentori di ribes nero, prugna matura e viole candite, intercalati da piacevoli note balsamiche di limone e salvia; in bocca é dapprima ampio e vellutato, poi progressivamente più avvolgente e rotondo, rivelando tannini al tempo stesso potenti e morbidi, addolciti da una gradevole presenza alcolica e da una lieve vena acida.
San Felice
San FeliceBiography
Il territorio rientrava nella proprietà dell’antica chiesa di San Felice in Avane, contesa fra i vescovi di Arezzo e Siena sin dal 714. Dal XIX secolo, San Felice fu proprietà dei marchesi del Taja che nel 1924 furono tra i fondatori del Consorzio del Chianti Classico. L’azienda subì nel dopoguerra la crisi dovuta allo spopolamento delle campagne: fu ceduta dai Grisaldi del Taja nel 1968 ad un importante gruppo finanziario e successivamente alla RAS, oggi Allianz: Comincia così lo sviluppo dell’azienda volto ad una produzione di qualità.
San Felice si trova nel comune di Castelnuovo Berardenga a pochi kilometri da Siena, nel cuore del Chianti Classico. Il piccolo borgo medievale e la moderna cantina sono circondati da 140 ettari di vigneto, la maggior parte piantati a Sangiovese a testimonianza dell’impegno della San Felice nella produzione di Chianti Classico di forte impronta territoriale come le Riserva ‘ Il Grigio’ e la Gran Selezione ‘Poggio Rosso’.
Ma allo stesso tempo San Felice si è distinta come un produttore molto innovativo ed impegnato nella ricerca. Lo dimostrano lo storico ‘Vigorello’ , precursore dei Supertuscans e ‘Pugnitello’, dall’omonima antica uva toscana, frutto della riscoperta e della lunga sperimentazione condotta insieme all’Università di Firenze.
Nel 1990 è stato avviato un importante progetto di ristrutturazione del borgo di San Felice con la realizzazione di una elegante struttura alberghiera, membro della prestigiosa catena ‘Relais & Chateaux’, da diversi anni classificata dalla rivista ‘Traveller’ tra i migliori Resort d’Europa.
Tasca d’Almerita
Tasca d’AlmeritaBiography
L’azienda fu creata nel 1830, quando i fratelli Lucio e Carmelo Mastrogiovanni Tasca acquistarono l’ex feudo Regaleali, circa 1.200 ettari a Sclafani, al confine della provincia di Palermo con quella di Caltanissetta. A dirigerla in quei primi anni fu Lucio, che ne fece una fattoria modello. Quella d’essere all’avanguardia nell’isola é una caratteristica a cui Regaleali non ha mai rinunciato, neanche dopo 120 anni, quando, finito il Secondo conflitto mondiale, la riforma agraria causò l’esproprio di oltre metà dei 1.200 ettari originari, portandoli a circa 500: il conte Giuseppe Tasca ebbe la lungimiranza di reagire decidendo con determinazione di puntare sulle vigne e sul vino, mirando esclusivamente all’alta qualità. Fu un pioniere nella coltivazione delle viti a spalliera, nel ridurre le rese per ettaro, nel valorizzare i vitigni autoctoni come l’inzolia e il nero d’Avola, ma anche a sperimentare senza pregiudizi varietà internazionali quali chardonnay e cabernet sauvignon. La guida della casa vinicola é oggi affidata al conte Lucio e ai suoi due figli, Giuseppe e Alberto: a essi si deve la creazione di una società, composta quasi interamente da giovani siciliani, che coprendo tutte le aree strategiche, dalla contabilità al marketing, commercializza i vini della tenuta in tutto il mondo. Dal cuore della Sicilia, da quell’oasi ecologica che é Regaleali, , scaturiscono ogni anno 3 milioni di bottiglie: quattro bianchi, sei rossi, un rosato, due spumanti e un vino da dessert, tutti ricavati da autentici Cru. Due li aveva creati il padre di Lucio, il conte Giuseppe Tasca: il Rosso del Conte, un nero d’Avola messo a punto quando questo vitigno non era affatto di moda, maturato in botti di castagno (oggi sostituito con il rovere), e il Nozze d’Oro, un bianco realizzato per celebrare i 50 anni del suo matrimonio con la baronessa Franca Cammarata. Tra i bianchi emerge anche un polputo, elegante Chardonnay e tra i rossi un aristocratico Cabernet Sauvignon. Ma straordinari consensi sta riscuotendo anche il vino dolce aromatico Diamante d’Almerita, da uve di moscato e traminer.
Tenuta San Guido
Tenuta San GuidoBiography
Più che un vino, il Sassicaia é una leggenda: é nato dal cabernet sauvignon quando questa varietà non aveva cittadinanza in Toscana; é maturato in barrique un quarto di secolo prima che diventasse di moda, e oggi é il vino italiano più conosciuto nel mondo. Eppure non proviene da nessuna zona di riconosciuta nobiltà enoica: é nato in Maremma, proprio là dove i cipressi a Bolgheri alti e schietti van da San Guido in duplice filar, da una geniale intuizione del marchese Mario Incisa della Rocchetta, un gentiluomo piemontese che nel 1943, rifugiatosi dopo l’armistizio dell’8 settembre nella vasta tenuta ereditata da sua moglie Clarice della Gherardesca, decise di realizzare un’idea che gli era venuta quand’era studente a Pisa: produrre su quelle colline sassose un vino di classe pari ai più famosi Bordeaux, i preferiti dall’aristocrazia italiana di allora. Incisa apparteneva a una famiglia piemontese di nobiltà vitivinicola, ma fino a quel momento si era dedicato alla prstigiosa scuderia di galoppo creata nel 1930 con Federico Tesio, la Dormello-Olgiata, allevando cavalli entrati nella storia dell’ippica come Nearco e Ribot. Tuttavia sapeva anche come si crea un vino di pregio: nel 1944 impiantò un primo vigneto di cabernet sauvignon. Poi, insoddisfatto dei risultati ottenuti, ne realizzò un secondo a Bolgheri, in una zona chiamata non a caso Sassicaia. A curare il vino in cantina chiamò un suo nipote, Carlo Guerrieri Gonzaga, specializzato in enologia a Losanna. Il primo a entusiasmarsene fu Luigi Veronelli, con uno storico articolo del 14 novembre 1974 su Panorama dedicato al millesimo 1968. Fu proprio quel millesimo il primo a essere immesso sul mercato, e da allora il Sassicaia é passato di successo in successo. La scelta del cabernet sauvignon e del cabernet franc (aggiunto successivamente) ha contagiato tutta la penisola, così come l’uso della barrique. Peccato che Mario Incisa, scomparso a 84 anni nel 1983 lasciando al figlio Niccolò la cura della razza Dormello-Olgiata e della Tenuta San Guido, non abbia potuto assistere all’ultima clamorosa vittoria del Sassicaia: la Doc che gli é stata cucita addosso nel 1994 per impedire che andasse ancora in giro nudo come Vino da Tavola, come aveva fatto per troppo tempo.
Tenuta San Leonardo
Tenuta San LeonardoBiography
Le prime testimonianze riguardanti la Tenuta di San Leonardo risalgono al 500 d.C. quando si narra che Autari, re dei Longobardi, avesse preso in sposa Teodolinda, figlia del re di Baviera.
Nelle carte geografiche del X sec. é riconoscibile toponimo San Leonardo. Risale a quell’epoca l’insediamento dei frati Crociferi che eressero un piccolo convento e la coltivazione della vite.
Dopo essere stata per molti secoli di proprietà della Chiesa, la tenuta fu venduta nel XVIII sec. alla famiglia de Gresti e per discendenza femminile é infine giunta nelle mani dei Marchesi Guerrieri Gonzaga nell’800.
San Leonardo é in comune di Borghetto all’Adige, uno dei primi comuni del basso Trentino nella Valle della’Adige al confine con il Veneto. Dopo il padre, il marchese Anselmo Guerrieri Gonzaga, nella conduzione della tenuta é subentrato il figlio Carlo, a sua volta affiancato dal figlio Anselmo, che porta lo stesso nome del nonno. Da sempre la filosofia produttiva di San Leonardo é stata quella di perseguire la qualità del vino, una qualità vera, concreta e percepibile. I mezzi per raggiungere questo obiettivo sono una razionale viticoltura che valorizza i singoli vigneti e le diverse varietà, e una pratica enologica nazionale e naturale allo stesso tempo il cui unico obiettivo é di conservare e valorizzare il potenziale qualitativo già insito nelle uve al momento della vendemmia. Nel corso degli anni i vigneti a rotazione sono stati periodicamente rinnovati e impiantati in modo da avere sempre un certo numero di viti con l’età ottimale atta a produrre il meglio (le uve dei vigneti giovani vengono destinate a produrre i vini più immediati, proprio come nella tradizione di Bordeaux). Il vino simbolo é il San Leonardo che é frutto di un sapiente taglio di cabernet sauvignon, cabernet franc e merlot; dopo una lunga macerazione sulle vinacce e dopo la svinatura, il vino si affina per almeno due anni in botti di rovere francese, e dopo l’imbottigliamento il vino si affina altri due anni prima di essere messo in commercio. Un vino elegante, ricco, morbido, sontuoso, che nulla ha da invidiare ai grandi cru del Medoc a Bordeaux. Il “secondo vino” della casa é il Villa Gresti, un merlot con una piccola aggiunta di carmenére, un vino che colpisce per la sua finezza, per la morbidezza dei tannini e la rotondità al palato.
Tenute di Ambrogio e Giovanni Folonari
Tenute di Ambrogio e Giovanni FolonariBiography
L’azienda Tenute Ambrogio e Giovanni Folonari é nata dalla scissione dei Tenimenti Ruffino, quando, nel 2000 Ambrogio e il figlio Giovanni hanno deciso di concentrarsi sui vini di alta gamma, creando una collezione di aziende agricole molto bene locate che producono grandi vini, soprattutto in Toscana. La famiglia Folonari opera nel settore vitivinicolo sin dalla fine del 1700 e negli anni ha contribuito in maniera significativa a scrivere la storia del vino italiano e toscano in particolare. Risale in fatti al 1912 l’acquisizione dell’Azienda Ruffino da parte di Italo, nonno di Ambrogio, con la quale la famiglia Folonari, di origine bresciana, ha dato inizio alla propria ormai secolare avventura imprenditoriale sul territorio toscano. L’azienda oggi possiede Nozzole, acquistata nel 1971, e Cabreo a Greve in Chianti, Torcalvano a Montepulciano, la Fuga a Montalcino, e altre ancora come il Ronco dei Folo nei Colli Orientali del Friuli, la Tenuta Campo al Mare a Bolgheri, la Tenuta Conti Spalletti alla Rufina, o ancora la Tenuta Vigne a Porrona nella Doc Montecucco. Le etichette riportano il marchio della tenuta da cui provengono le uve che hanno prodotto quel vino, garantendone così il carattere specifico. Creatività, innovazione e precisione nel rispetto delle tradizioni del territorio sono il cuore della filosofia con cui l’azienda gestisce questo insieme di proprietà così diversificato. I due vini di maggior tradizione e prestigio internazionale sono senza dubbio il Pareto di Nozzole, e il Cabreo il Borgo; il primo é un sontuoso cabernet sauvignon in purezza di grande complessità ed eleganza, il secondo un assemblaggio di sangiovese e cabernet sauvignon, per nascita uno dei primi SuperTuscan in assoluto. Il Pareto ottenuto da una lunga maturazione di 16-18 mesi in piccole botti di rovere e da un successivo affinamento in bottiglia di almeno sei mesi, questo vino austero e concentrato ma al tempo stesso rotondo e suadente rappresenta l’abbinamento ideale per i grandi piatti a base di carne della cucina toscana come arrosti e selvaggina. Il Cabreo al contrario rappresenta una nobile sintesi tra l’eleganza tipica dei più selezionati ceppi di sangiovese chiantigiano, e la potenza strutturale del cabernet sauvignon che nella Tenuta di Zano, nei pressi di Greve in Chianti, si esprime a livelli di assoluta eccellenza.
Umani Ronchi
Umani RonchiBiography
Su scala internazionale non é una grande azienda, ma per gli standard italiani l’Umani Ronchi di Osimo, con 200 ettari di vigneto in proprietà, 30 in affitto e una produzione di 4 milioni di bottiglie all’anno, ha dimensioni da industria. E i vini delle industrie di solito non sono eccelsi. Ma l’azienda marchigiana é riuscita da tempo a ribaltare questa immagine. In che modo? Con la costanza della qualità e almeno tre vini di razza. Uno é il Plenio, un Verdicchio dei Castelli di Jesi pieno come dice il nome, e il secondo é il Cùmaro, un Rosso Conero Riserva morbido, armonioso, equilibrato, ma il terzo é il Pelago, un rosso insolito da uve di cabernet sauvignon, montepulciano e merlot, possente ed elegante come non ci si aspetterebbe in una regione nota quasi esclusivamente per il Verdicchio. L’anomalia della Umani Ronchi, in effetti, é di essere un’azienda che gode di tutti i vantaggi della dimensione industriale senza cedere alla tentazione di uno sviluppo meramente quantitativo, forse perchè é rimasta a carattere familiare: a dirigerne la produzione é stato finora Massimo Bernetti, che però ha già fatto salire sul ponte di comando il figlio Michele, responsabile della commercializzazione sui mercati esteri, mentre suo zio Stefano lo é per l’Italia. Ma come mai l’azienda non porta il loro nome? Semplice: fu fondata negli anni ’50 a Cupramontana da Gino Umani Ronchi. Però decollò soltanto quando nella società, pochi anni dopo, entrò l’ingegner Roberto Bianchi, che nel 1970 finì per rilevare l’intera proprietà e la affidò al genero, che era appunto Massimo Bernetti, dopo aver deciso di spostarne la sede a Osimo, dove sorge oggi la cantina principale. Il successo, sostengono i Bernetti, lo devono a tre scelte che hanno fatto: la diversificazione, in una regione dominata dalla produzione monoprodotto; l’esportazione, che assorbe quasi l’80% della produzione; la qualità, cioé rigorosa selezione delle uve, ridotte rese per ettaro, continui controlli di laboratorio, ma soprattutto un’incessante ricerca nelle vigne e in cantina. Per scegliere vitigni, cloni, sistemi d’allevamento delle viti, i Bernetti hanno vigneti sperimentali intorno a Villa Bianchi, la loro sede di rappresentanza a Moie di Maiolati, realizzati grazie a un accordo con il dipartimento di Biotecnologie agrarie e ambientali dell’Università di Ancona.